Ciao Valeria, vuoi raccontarci di come ti sei avvicinata alla fotografia?
È stato grazie al chitarrista della mia band, che “faceva le foto buone” al gruppo, mi sono incuriosita e decisi di comperare una macchina fotografica. Mentre ancora frequentavo l’università, lavoravo in un pub per pagarmi i rullini, oltre che gli album. Dopo qualche anno da hobbista, grazie alcuni incontri, non casuali, ampliai i miei orizzonti rispetto al mondo dell’arte e della fotografia. Fu allora che decisi di cambiare strada e di dedicarmi a tempo pieno allo sviluppo del mio linguaggio artistico e della mia professionalità.
Come è nato il progetto “Operazione Paese delle Meraviglie”?
Alcuni miei interessi ad un certo punto sono esplosi in un impulso a dare la personale versione di questa fascinazione che avevo. Grazie ad alcune letture, unitamente ad alcuni studi, ho cercato di scostarmi dalle narrazioni mainstream sull’Artico. Ho deciso di dar luce ad un progetto che, attraverso immagini esteticamente belle, raccontasse anche fatti non belli. Nota caratteristica del lavoro, è che è stato realizzato da remoto. Inoltre, non ho utilizzato soltanto la fotografia ma anche acquerelli, come fossi un’esploratrice che cattura reperti che raccontano di un luogo sì splendido, ma brutale per via svariati soprusi commessi dall’uomo. Un fatto per altro di cui si parla poco.
Da chi prendi ispirazione per i tuoi lavori?
In questo momento sto leggendo Alexander Von Humboldt, forse un precursore della teoria del tutto. Trovo una grande ispirazione da questo concetto, e anche dagli studi di Yoga e dei Veda, grazie ai quali i miei lavori sono ibridi. Il mio percorso intellettuale si basa su analogie, anche tra cose all’apparenza lontane. Studiare per me vuol dire questo, aprirsi al possibile e integrare queste conoscenze nella vita, quindi anche nella propria arte.
Qual è la prima cosa che fai quando decidi di sviluppare un progetto?
Approfondisco la materia che mi sta ispirando in quel momento. Cerco di capire come rendere visibili le mie idee e come dargli una forma coerente al tema. Le fasi creative sono intercambiabili in base al progetto. Tutto è fissato nei miei diari. Paradossalmente si parla molto delle fasi progettuali e sembra tutto asettico; per quello che mi riguarda, quando creo attivamente le mie immagini sono incantata e rapita, mi sento viva, ed è una cosa che riesco a descrivere poco perché cerco di vivere il momento e solo dopo di condividere con gli altri l’esito di questo processo evolutivo.
Hello Valeria, how about you tell us how you approached photography?
Thanks to the guitarist in my band, the one who “took the good pictures” of the group, I got curious and decided to buy a camera. At the time of university I was working in a pub to pay for the films as well as the albums. After a few years taking photos as a hobby, thanks to some non-random encounters, I broadened my horizons on the world of art and photography. It was then that I decided to change my route and to spend myself fully on the development of my artistic language and my professionalism.
How did the “Operazione Paese delle Meraviglie” project begin?
At some point my interests exploded into an impulse to give my personal version of this fascination I had. Thanks to some books, along with some studies, I tried to distance myself from the mainstream narratives about the Arctic. I decided to give birth to a project that, through aesthetically beautiful images, told not so beautiful facts. A known characteristic of my work is that it was done remotely. Furthermore, I have not only used photography but also watercolours, as an explorer who collects artifacts that tell the story of a place so splendid, but brutal too due to the various abuses done by mankind there. A fact that is not commonly known.
Who do you take inspiration from?
Nowadays I am reading of Alexander Von Humboldt, he was one of the precursors of a unifying theory for the natural world. I find great inspiration in this concept, but also from my studies of Yoga and Veda, thanks to which my works are not hybrids. My intellectual route is based on analogies, also analogies between things apparently different and diverse. This is the meaning of studying to me: opening yourself to the plausible and incorporate this knowledge into our life, for extension into art too.
What’s the first thing you do when you decide upon a project?
I study in deep the subject that is inspiring me in that moment. I try to understand how to make my ideas visually interesting and how to give a coherent form to the main themes. Creative phases may be interchangeable depending on the project. Everything is noted in my diaries. Paradoxically I talk a lot about the planning and it all seems pretty aseptic; but when I am in the process of creation I feel totally raptured by my images and enchanted by the path, I feel alive, and that is something I do not fully describe because I try to live the moment; only after that I can decide to share the feelings I felt in this evolutionary process.