Fotografia, Stories

Silvia Montevecchi – The State Of Being Light

Ciao Silvia, parlaci un po’ di te e di come ti sei avvicinata alla fotografia.

Sono sempre stata affascinata dalla fotografia, fin da bambina, dalla prima volta in cui mi è stata data una macchina fotografica. Ricordo che quasi tutto ciò che vedevo da piccola, quando ero in viaggio con la mia famiglia, lo guardavo attraverso l’obbiettivo, cercando sempre nuove angolazioni da cui osservare un luogo o un oggetto. Credo che la prima cosa che mi ha affascinata del mezzo fotografico sia la possibilità di estrapolare attraverso uno sguardo personale un’immagine di un soggetto o di una situazione e in questo modo farlo apparire completamente diverso dalla sua realtà oggettiva. Ho sempre continuato a scattare fotografie nel tempo libero, finché ho deciso di dare più spazio alla mia passione e di iscrivermi a un corso di fotografia in un’accademia d’arte.

Come è nato il progetto “The State Of Being Light”?

È nato lentamente e in maniera quasi spontanea. Mi è capitato più volte che docenti universitari di corsi che ho frequentato inserissero le Lezioni Americane di Calvino nel loro programma, e ogni volta che le ho lette ne sono rimasta totalmente affascinata, soprattutto dalla prima lezione: Leggerezza. Era come se parlasse di un particolare tipo di bellezza, che avevo sempre riconosciuto e che aveva sempre colpito nel profondo la mia sensibilità, ma che non ero mai riuscita a mettere a fuoco. Ho riletto il libro di Calvino più e più volte negli anni seguenti, e alla fine mi sono resa conto che quella leggerezza era qualcosa a cui in un certo senso aspiravo e che sentivo il bisogno di darne una mia personale interpretazione visiva, di esprimerla in qualche modo, e così ho iniziato a ricercarla attraverso la fotografia ed è nato The state of being light.

Da chi prendi ispirazione per i tuoi lavori?

Cerco di essere sempre aperta a nuove ispirazioni, che provengano da un libro, da un dipinto, da un’inquadratura vista in un film o da qualcosa che vedo camminando per strada; credo anche che a volte sia difficile determinare la provenienza di un’ispirazione in un mondo in cui vediamo centinaia di immagini ogni giorno, ma se devo individuare degli artisti che hanno influito sulla mia visione direi sicuramente Mario Giacomelli, Anne Brigman, Arno Rafael Minkkinen, Arthur Tress e Duane Michals e, uscendo dall’ambito fotografico, incisori giapponesi come Hokusai e Hiroshige.

Come trovi le tue storie? Qual è la prima cosa che fai quando decidi di sviluppare un progetto?

A dire la verità non ho ancora sviluppato un metodo preciso. A volte faccio ricerche su una tematica che trovo interessante e scopro un’ispirazione, altre volte scatto fotografie che parlano di qualcosa che sento il bisogno di esprimere e solo dopo mi rendo conto che prendono la forma di una serie. Sicuramente non è un metodo pragmatico ed è anche piuttosto confusionario, almeno inizialmente, ma mi aiuta a non razionalizzare troppo e a esprimermi più liberamente, senza tracciare fin dall’inizio confini o strade da seguire.

Hi Silvia, tell us something about you and how you approached photography for the first time

I’ve always been fascinated by photography, since I was a child, from the moment I was given a camera. I remember that almost everything I saw back then, on holiday with my family, was through a photographic lens, always searching for new slants from whom I could to look to a place or an object.

I think that the first thing that fascinated me about the photographic medium was the chance to extrapolate a personal point of view, pictures of a subject or a situation letting them appear in a completely different way from their objective reality. I always kept taking photograps in my free time; then I decided to give more space to my passion by signing  up to a photography course and to an art academy.

How the project “The State Of Being Light” was conceived?

It was conceived in a very slow and spontaneous way. The teachers of the courses I attended  during University, included “Lezioni Americane” by Calvino several times in their study programs, and everytime I read them I was totally fascinated, expecially by the first lesson: Levity. It was as if it dealt with a particular kind of beauty that I had always recognized and which deeply affected my sensitivity, but I had never been able to focus on. I read Calvino’s books so many times through the years, then understanding that Levity was something I aimed to, and for whom I needed to create my own visual rendering, expressing it in some way, so I began to look for it through photography and then “The State Of Being Light” took shape.

From whom do you take inspiration for your works?

I always try to be open to new sourches of inspiration that come from a book, a painting, a shot seen in a movie either from something I see walking down the street. I also believe that – sometimes – it is difficult to determine where an inspiration comes from within a world in which we see hundreds of images everyday, but if I have to identify some artists who influenced my personal perspective, they certainly are: Mario Giacomelli, Anne Brigman, Arno Rafael Minkkinen, Arthur Tress, Duane Michals and out of photographica framework, japanese carvers like Hoku Sai and Hiroshige.

How do you find your stories? What is the first thing you do when you decide to develop a project?

Honestly, I have not developed an exact method yet; sometimes I deepen a subject I find interesting, then the inspiration comes, other times I take photographs that give voice to something I need to express and only later I realize they take the form of a series. It is certainly not a pragmatic method and it is quite confusing too – at least initially – but it helps me not to rationalize too much expressing myself more frankly without tracing lines or roads to follow from the beginning.

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Website: Silvia Montevecchi

Instagram: @ssilvss

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