Ciao Martina, parlaci un po’ di te e di come ti sei avvicinata alla fotografia.
Il mio primo approccio alla è avvenuto in tenera età. Fu mio padre a donarmi la mia prima macchina fotografica, affinché potessi ricordare i momenti trascorsi con lui attraverso la fotografia. Da quel momento non ho mai smesso di voler “fissare” attimi, sensazioni, stati, cercando di raccontarli e condividerli attraverso il mezzo visivo, il linguaggio scelto per relazionarmi al mondo. Crescendo, dopo un primo percorso in studi classici, ho sentito di voler fare del mio interesse un lavoro, così, cambiando percorso, ho scelto di frequentare un Istituto d’Arte prima e l’Istituto Europeo di Design poi, in cui ho potuto sviluppare una mia ricerca personale ed un mio sguardo.
Come è nato il progetto ” Pelle”?
Pelle è un progetto nato con la necessità di effettuare una lettura contemporanea e personale sul tema della pelle. Una pelle che viene descritta attraverso un paesaggio, quello della Puglia. E’ il racconto di una pelle natia, un tessuto che si compone e ricompone di elementi differenti, a volte esito di incontri casuali, a volte esito di ricerche. Alcuni oggetti, luoghi, corpi, presenti nel lavoro, guardano direttamente alla mia storia, alle cose conosciute, percepite in prima persona nel tempo passato, altri, parlano di un primo incontro ricercato, pensato, quasi fossero parte di una storia personale a me non ancora conosciuta, forse parte del tempo presente.
Da chi prendi ispirazione per i tuoi lavori?
Cerco di prendere ispirazione da ogni cosa, persona, tocchi la mia sensibilità, mi smuova. Ho artisti, contemporanei e non, che considero maestri, esempi di come poter trasmettere il proprio sentire attraverso il fare artistico. Tra tutti, ho sempre guardato con particolare interesse il lavoro di Edward Weston. Weston, attraverso il suo lavoro, descrisse oggetti del comune come elementi minimi, come forme, nette, puntuali, descritte in modo così formalmente accurato da renderle autonome. Gli oggetti, così come i suoi nudi, divennero un pretesto per le sue ricerche, per le sue indagini estetiche, per il suo ri – pensare la fotografia in modo nuovo. Dalla sua ricerca ha inizio la mia, dal suo stesso sguardo nei confronti di una fotografia esteriormente classica, interiormente, a mio avviso, contemporanea e complessa. Oltre lui, sento di dover citare altri artisti e artiste, presenze costanti per lo sviluppo della mia sensibilità. In particolar modo: Giuseppe Cavalli, Gina Pane, Ferruccio Ferroni, Giuseppe Penone, Viviane Sassen, Giorgio Morandi, Pino Pascali, Jannis Kounellis, Tina Modotti, Wolfgang Tillmans, Franco Vimercati, Bernd e Hilla Becher, Man Ray.
Qual è la prima cosa che fai quando decidi di sviluppare un progetto?
Quando decido di sviluppare un progetto comincio dal provare a dar corpo all’idea attraverso la ricerca di parole, immagini, testi, note personali e input che possano restituirmi l’immaginario a cui il progetto sente di appartenere. Una volta percepito in modo chiaro l’intento del progetto, la sua volontà ed il suo possibile sviluppo estetico, comincio a pensare a come poterlo articolare attraverso le immagini. Dopo aver scelto luoghi e soggetti del progetto lascio che questi interagiscano tra loro e con il mio sguardo, cercando di creare un lavoro che rappresenti il mio sentire, in aperto dialogo con lo sguardo ed il sentire altrui.
Hi Martina, tell us a bit about yourself and how you approached photography.
My first approach to was at an early age. It was my father who gave me my first camera, so that I could remember the moments I spent with him through photography. From that moment I never stopped wanting to “stare” at moments, feelings, states, trying to tell them and share them through the visual medium, the language chosen to relate to the world. Growing up, after a first journey in classical studies, I felt I wanted to make my interest a job, so, changing course, I chose to attend an Art Institute first and the European Institute of Design then, in which I was able to develop my own personal research and my own look.
How the project “Pelle” was born?
Pelle is a project born with the need to make a contemporary and personal reading on the theme of skin. A skin that is described through a landscape, the Apulian landscape. It’s the story of a native skin, a fabric that is composed and recomposed of different elements, sometimes the result of random encounters, sometimes the result of research. Some objects, places, bodies, present in the work, look directly at my history, to the things known, perceived in the past time, others, speak of a first sought encounter, thought, as if they were part of a personal story not yet known to me, perhaps part of the present time.
Where do you get inspiration for your work?
I try to take inspiration from every thing or person, that come in touch with my sensitivity, that move me. I have artists, contemporary and not, that I consider masters, examples of how to convey one’s own feeling through artistic doing. Among all, I have always looked with particular interest at the work of Edward Weston. Weston, through his work, described common objects as minimal elements, as forms, sharp, punctual, described in such a formal and accurate way as to make them autonomous. The objects, as well as his nudes, became a pretext for his research, for his aesthetic investigations, for his re – thinking of photography in a new way. From his research begins mine, from his own gaze towards an outwardly classical photograph, inwardly, in my opinion, contemporary and complex. Besides him, I feel I must mention other artists and artists, constant presences for the development of my sensitivity. In particular: Giuseppe Cavalli, Gina Pane, Ferruccio Ferroni, Giuseppe Penone, Viviane Sassen, Giorgio Morandi, Pino Pascali, Jannis Kounellis, Tina Modotti, Wolfgang Tillmans, Franco Vimercati, Bernd and Hilla Becher, Man Ray.
What is the first thing you do when you decide to develop a project?
When I decide to develop a project I begin by trying to give substance to the idea through the search for words, images, texts, personal notes and inputs that can give me back the imagination to which the project feels to belong. Once I clearly perceived the intent of the project, its will and its possible aesthetic development, I begin to think about how to articulate it through the images. After choosing the places and subjects of the project I let them interact with each other and with my gaze, trying to create a work that represents my feeling, in open dialogue with the gaze and the feeling of others.