La resilienza non è solo il potere di resistere, spesso è più simile alla capacità di ricostruire. Potremmo anche affermare che i due input coesistono: la resilienza è sia la capacità di resistere al trauma che la capacità di prendersi cura di sé dopo esso. Con questo lavoro fotografico cerco di mettere in discussione le idee di resilienza e guarigione. Il mio obiettivo è stabilire un dialogo visivo tra memoria traumatica, realtà e dissociazione. Quest’opera si esprime da più angolazioni, allo stesso tempo silenziose, luminose e dolorose. In un tentativo di auto-fiction e infra-politica, l’atto fotografico potrebbe incanalare la tensione emotiva di un corpo vivente ancora vulnerabile. In fondo, siamo simili alle pietre, che si erodono dolcemente nel tempo, conservando dentro di noi tracce incise di eventi passati. Parte di ciò che siamo è legato alle tracce enigmatiche degli altri.
Resilience is no longer the power to resist, it’s more like the ability to rebuild. In practice, we see that the two inputs coexist: resilience is both the capacity to resist trauma and the capacity to care oneself after it. This photographic work is trying to question the ideas of resilience and healing. I aim to establish a visual dialogue between traumatic memory, reality and dissociation. This work is expressed from several angles, at once silent, luminous and painful. In an attempt at self-fiction and infra-politics, the photographic act could channel the emotional tension of a still vulnerable living body. Ultimately, we are similar to stones, eroding softly over time, retaining within us engraved traces of past events. Part of what we are relate to the enigmatic traces of others.
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