Ciao Clelia, parlaci un po’ di te e di come ti sei avvicinata alla fotografia.
Sono cresciuta a Milano, ma da diversi anni ormai la mia città è Venezia. Fin da adolescente ho portato avanti parallelamente due interessi, quello per la fotografia e quello per la pittura. Mi sono avvicinata alla fotografia attraverso la fotografia analogica; ho avuto la fortuna di poter allestire una piccola camera oscura in casa fin da ragazzina, dove facevo prove, sovrapposizioni, fotogrammi, esperimenti da autodidatta. A pensarci ora, in quel periodo avevo un approccio tendenzialmente pittorico nei confronti dell’immagine fotografica; mi sono con gli anni poi resa conto che pittura e fotografia sono per me entrambi linguaggi importanti, che tendono a contaminarsi l’un l’altro e che influenzano in maniera complementare la mia poetica. Successivamente ho frequentato dapprima la triennale in Pittura all’Accademia di belle arti di Venezia e successivamente il biennio di fotografia all’ISIA di Urbino.
Come è nato il progetto “I sensi dell’isola”?
Il progetto è nato da una raccolta di immagini spontanee, scattate nell’arco di diversi anni; dal 2014 vivo a Venezia e anche mentre frequentavo l’Accademia di Belle Arti ho sempre continuato a scattare fotografie su pellicola della mia quotidianità. Più tardi, negli anni, ho dato forma a questo progetto partendo da un interesse che era già latente nelle immagini che scattavo in passato.
La laguna di Venezia è un luogo molto specifico, unico nel suo genere, e chi sceglie di rimanere e vivere in questa città si accorge di essere entrato a far parte di una dimensione particolare, che segue un ritmo tutto proprio e che necessita di una certa sensibilità per essere compresa. Questa città è per me anche tra i luoghi che più al mondo risentono dell’abuso di un certo immaginario stereotipato a cui le si vede continuamente associate; inoltre, il suo carattere di isola non fa che accentuarne la peculiarità. Il concetto di isola è, anche per etimologia, legato all’isolamento; ne deriva una particolare ambivalenza tra isolamento e preservazione, si diviene universo a sé con regole e caratteristiche proprie. La dimensione di isola, attraverso il suo aspetto morfologico, permette di rendersi isola davanti al mondo e di farsi mondo a sua volta.
È dalla fascinazione per questa dimensione sfuggente che è nata questa serie di immagini dei luoghi meno conosciuti della laguna. Qui la periferia della città non è la sua parte marginale ma sono le sue isole minori. È su questo immaginario che ho voluto quindi lavorare e, partendo da materiale scattato spontaneamente, ho iniziato a concettualizzare il progetto e a ricercare materiale più specifico. Ai paesaggi, alle barene e ai particolari delle aree urbane ho poi aggiunto altri scatti che mostrano i periodi di acqua alta, che non avrei potuto escludere dal ritratto di questi luoghi.
Da chi prendi ispirazione per i tuoi lavori?
Tra gli artisti che mi hanno sicuramente influenzato ci sono Wolfgang Tillmans, Victor Mann, Stephen Shore, Wim Wenders, Sigmar Polke, Jan Saudek, Werner Herzog… Sono affascinata dal lavoro di chi riesce a creare atmosfere così specifiche da essere tangibili attraverso l’immagine, che si tratti di pittura, cinema o fotografia.
Qual è la prima cosa che fai quando decidi di sviluppare un progetto?
La prima cosa che faccio è scattare, spontaneamente, senza pensare troppo, e raccogliere materiale. La seconda è riflettere su quello che ho raccolto: cerco i soggetti ricorrenti, guardo cos’hanno in comune le immagini che preferisco e mi interrogo su cosa sia a renderle così interessanti ai miei occhi. Da qui comincio a restringere il campo d’interesse, capendo in che direzione va la mia curiosità più viscerale e interrogandomi sui motivi che mi spingono a creare un certo tipo di immagini. Una volta delineato un concept più concreto tendenzialmente integro il materiale più “spontaneo” con uno invece più pianificato, andando a ricercare in maniera più approfondita.
Hi Clelia, tell us a little about yourself and how you approached photography.
I grew up in Milan, but for several years now my home has been Venice. Since I was a teenager I have pursued two parallel interests, photography and painting. I approached photography through analogic photography; as a young girl I was lucky enough to be able to set up a small darkroom in my house, there I did tests, overlays, frames, self-taught experiments. Thinking about it now, I had a pictorial approach to the photographic image then; over the years I realized that painting and photography are equally important languages for me, they tend to contaminate each other and in a complementary way they influence me and my poetics. Afterwards I first attended a three-year course in Painting at the Academy of Fine Arts in Venice and then a two-year course in photography at ISIA in Urbino.
How was the “Senses of the island” project born?
The project was born from a collection of spontaneous images, taken over several years; I live in Venice since 2014 and even while I was attending the Academy of Fine Arts I have always continued to take shoot on film my everyday life. Later, over the years, I gave shape to this project starting from an interest that was already lurking in the images I had taken.
The Venice lagoon is a very special place, unique in its kind, and those who choose to stay and live in this city realize that they have become inhabitants of a peculiar dimension which follows its own rhythm and needs a certain sensitivity to be understood. For me, this city is also one of those places in the world that are most affected by the abuse of stereotyped imagery; moreover its atmosphere as an island only accentuates its peculiarities. The concept of island is, also by etymology, linked to isolation; the result is an ambivalence between isolation and preservation, it becomes a universe in itself with its own rules and characteristics. The dimension of an island, through its morphological aspect, becomes an island in front of the world and becomes a world in its turn.
From the fascination for this elusive dimension this series of images of the lesser known places of the lagoon was born. Here the outskirts of the city are not its further parts but its smaller islands. It is on this imaginary that I wanted to work and, starting from photos taken spontanously, I began to conceptualize the project and to search for more specific imagery. To the landscapes, the sandbanks and the details of the urban areas I then added other shots that show the periods of high water, which I could not have excluded from the portrait of these places.
Who inspires you in your works?
Among the artists who have certainly influenced me are Wolfgang Tillmans, Victor Mann, Stephen Shore, Wim Wenders, Sigmar Polke, Jan Saudek, Werner Herzog … I am fascinated by the work of those who created atmospheres so specific as to be tangible through the image, may it be a painting, a film or a photography.
What is the first thing you do when you decide to develop a project?
The first thing I do is shoot, without thinking too much, and collect the material. The second step is to reflect on what I have collected: I look for recurring subjects, I look at what my favorite images have in common and I wonder what it is that makes them so interesting to my eyes. From here I begin to narrow the field of interest, understanding in which direction my most visceral curiosity goes and asking myself about the reasons that pushed me to search that certain type of image. Once a more concrete concept has been outlined, I tend to integrate the more “spontaneous” material with a more planned one.