Ciao Emanuel, parlaci di te e di come ti sei avvicinato alla fotografia.
Ho iniziato a fotografare quando ho lasciato la mia casa famigliare in giovane età, intorno ai sedici anni, per iniziare un’educazione musicale. L’istruzione si è rivelata non quello che speravo, quindi mi sono iscritto a un club locale di fotografia e ho iniziato a trascorrere intere serate lì con un amico, sviluppando foto e lavorando nel laboratorio.
Com’è nato il progetto “THE ditch”?
Fin da un bambino ho sempre sentito parlare della storia della linea di difesa di Öland, una piccola isola sulla costa orientale della Svezia. Il fossato è abbastanza vicino alla casa estiva dei miei genitori, dove trascorro la maggior parte delle mie estati. Tuttavia non sapevo esattamente dove si trovasse. Un tempo mio padre mi indicò quello che pensava fosse “IL fosso”, ma poi scoprii che lo aveva confuso con un altro fosso.
Sono sempre stato interessato alla storia e all’archeologia, mi piace anche trascorrere del tempo nella natura. Questo mi ha spinto ad esplorare i dintorni e quella storia sembrava così assurda che ho sentito il bisogno di saperne di più. Più tardi ho scoperto che anche Raoul Thörnblad, il responsabile del piano di difesa, è stato il primo a paracadutarsi in Svezia. Questo mi ha aiutato a comprendere il suo modo di pensare e mi ha dato modo di approcciarmi al progetto. Ho pensato che magari avesse osservato il paesaggio dall’alto nella pianificazione del fossato e che questo modo di vedere il paesaggio come una mappa fosse un modo molto razionale di guardare le cose. Ricalca il contrasto che c’è tra il modo in cui appare la natura quando ci sei immerso (e probabilmente per i lavoratori di quell tempo) e quando viene invece osservata attraverso la macchina fotografica. Quando cammino nella natura non è possibile ottenere una visione d’insieme e capire il paesaggio nel suo insieme. Questo in qualche modo rispecchia il modo in cui penso al paesaggio e alla fotografia, i suoi strati di tempo sono un mistero che ispira ma che è anche difficile comprendere appieno.
Quali sono le tue ispirazioni?
Il progetto “The Margin of Error” (2019), che raffigura il paesaggio di Sarek nel nord della Svezia. Ho iniziato a pensare alla fotocamera come a uno strumento di misurazione, un pensiero che era e continua ad essere molto stimolante. Penso alla macchina fotografica come a uno strumento per capire ciò che mi circonda. Ho scoperto di recente di essere interessato ai grandi fallimenti dell’uomo. Spesso questi fallimenti hanno a che fare con la natura e come noi umani falliamo nel controllare quest’ultima. C’è qualcosa di poetico nel fallimento. Lavorando con macchine fotografiche analogiche e pellicola il rischio di fallire è qualcosa di scontato nonché parte del processo, ti tiene sul filo del rasoio ma ti prepara anche all’imprevisto, che di per sé potrebbe essere molto interessante. Quando devo citare un fotografo specifico come ispirazione di solito nomino Luigi Ghirri. Adoro il modo in cui lavora con l’umorismo, la poesia e la percezione. Ho letto che era un geometra prima di iniziare a lavorare come fotografo.
Come hai trovato le tue storie? Qual è la prima cosa che fai prima di iniziare un progetto?
Spesso tutto inizia con un interesse per un argomento su cui mi butto impulsivamente. Poi comincio a fare qualche ricerca e se lo sento in sintonia o mi sembra interessante inizio a progettare come affrontarlo e fotografarlo. Sembra facile a dirsi, ma spesso ho diversi progetti in corso contemporaneamente e ci metto dello sforzo per portarli a termine tutti. Ho iniziato a lavorare su “The Ditch” nel 2017 ed è diventato un libro l’anno scorso, 2021. Non so quante ore ho passato dentro e accanto a quel fosso cercando di trovare il mio sentiero attraverso il paesaggio con alcune pesante attrezzature fotografiche sulla schiena.
Hello Emanuel, talk about you and how did you start photography.
I started photographed when I moved out from my family home in a quite early age, around sixteen, to start a music education. The education was not what I hoped for so I joined a local photo club and started spending time there with a friend during evenings, developing and working in the lab.
How “The Ditch” is born ?
The story of the defence line on Öland, a small island on the east coast of Sweden, is something I’ve heard about since I was a child. The ditch itself is quite near the summer house of my parents, a place where I spend most of my summers. However I didn’t know exactly where it was. At one time my father pointed out what he thought was “THE ditch”, later I found out that he had mistaken it for another ditch.
I’ve always been interested in history and archaeology, I also like to spend time in nature. This gave me a reason to explore the surroundings, and the story itself seemed so absurd I felt an urge to learn more. Later I found out that Raoul Thörnblad, the person in charge of the defence plan, also was the first person parachuting in Sweden. This gave me an understanding of his mindset and it was also a way for me to approach the project. I had this thought that he had seen the landscape from above when planning the ditch, and that this way of seeing the landscape as a map is a very rational way to look at things. It’s also a great contrast to how the nature appear when you are in place, (and probably for the workers at that time) and how the camera see things. When I walk in the landscape it’s impossible to get an overview and understanding the landscape as a whole. This somehow mirrors how I think of the landscape and photography, it’s layers of time is a mystery that is both inspiring and hard to fully understand.
Which are your inspirations?
In the project The Margin of Error (2019), which is depicting the landscape of Sarek in north of Sweden. I started to think of the camera as a mesuring instrument, which was very inspering and it still is. I think of the camera as a tool of which I understand my surroundings. Lately I also found out that I tend to be drawn to great failors by men. Often involving nature and how we as humans fail to take control over nature. There is something poetic in failing. Working with analog cameras and film the risk of failing is somehting that is built in to proccess, it keeps you on your toes but also open for the unexpected. Which in it self could be very inspiring.
If I should mention a specifick photographer I’d usually come back to Luigi Ghirri. I love how he works with humor, poetry and perception. Interesting enough I’ve read that he was a land-surveyor before he started working as photographer.
How did you find your stories ? What is the first thing that you make before you start a project?
It oftens start with a interest in a subject that I sort of pump in to. Then I start doing some research and if it resonates or feels intreseting to me I start thinking of how I should approach it or photograph it. It’s sounds quite easy but I often have a few projects going at the same time and it takes quite an effort to finish them. I started working with The Ditch in 2017 and it became a finished book last year, 2021. I don’t know how many hours I spent in and next to that ditch trying to find my way through the landscape with some heavy cameras on my back.