Raccontaci qualcosa di te e di come hai scoperto la fotografia
Ho scoperto la fotografia a 18 anni, mentre studiavo media e comunicazione, con una vaga idea di fare giornalismo. Prima di “fare” davvero fotografia ne ho studiato le tecniche e la storia. All’epoca ero anche molto interessato a film, video editing e Photoshop. Penso che il mio lavoro sia stato sempre legato in qualche modo alla narrazione e alle storie.
Rapidamente ho iniziato a ricreare le situazioni davanti all’obiettivo e a usare strategie di storytelling per ottenere una narrazione. Ho sperimentato molto anche la materialità della fotografia analogica in camera oscura.
Com’è nato “Home Play”?
Ho cominciato questo progetto durante il primo lockdown di marzo 2020. Ero confinato a Bruxelles, in Belgio, dove vivo e lavoro. Home Play consiste in immagini scattate nel mio luogo di vita, in una casa condivisa nella zona nord della città, dove vivo con altri coinquilini. Ho iniziato a creare nature morte con oggetti casuali per inscenare strane situazioni. L’unica costante è che non potevo uscire dal mio perimetro per realizzare le immagini. Non è un facile esercizio restare creativo e produttivo quando si è segregati in casa. In un certo senso è questa tutta la sfida del progetto. Io lo vedo come un pretesto per reinventare il mio quotidiano, giocare col mio ambiente e ricrearlo. Mi riferisco a Marcel Proust che disse: Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi. Mi piace tanto questa citazione perché fa riferimento allo sguardo, che è primordiale nella fotografia. In un certo senso questo ha un peso più grande del soggetto dell’immagine.
La sfida di questo progetto non è tanto creare un mondo inventato in cui rifugiarci, piuttosto proporre un modo di restare creativo come fotografo in uno spazio circoscritto che si è soliti vivere e vedere ogni giorno.
Pertanto Home Play propone di reinventare ogni cosa all’infinito, in modo da scovare l’esotico nel quotidiano.
Quali sono le tue fonti di ispirazione?
Come tutti ho tratto ispirazione da cose che avevo già visto, come in altre immagini, film, opere d’arte ecc… In questa serie Home Play mi rifaccio a molti fotografi e artisti che conosco. Prendo le immagini come base per fare qualcosa di nuovo e personale. Penso agli interventi del duo Nico Krebs & Taiyo Onorato. Sono rimasto affascinato dal loro libro The Great Unreal. Anche il lavoro di Thomas Albdorf sulle nature morte mi ha molto ispirato.
Fintanto che c’è un intervento nell’immagine, una trasformazione della realtà che crea narrazione e poesia, la cosa mi ispira. Alle volte questo può essere fatto molto semplicemente.
Come trovi le tue storie? Qual è la prima cosa che fai prima di intraprendere un progetto?
Di solito le storie arrivano senza una reale ricerca. Il progetto Home Play non è direttamente una storia, nel senso che non ho eseguito ricerche su questo prima di scattare le fotografie. Penso, però, che una narrazione possa essere definitivamente svelata dallo spettatore, solo che non l’ho messa per iscritto prima del progetto.
Inoltre credo profondamente nell’inattesa scoperta delle cose e non cerco di avere aspettative troppo alte. Anche se talvolta le cose non vanno come vuoi tu, ne accadono di nuove e ti fanno ridimensionare il progetto in una nuova direzione.
L’atteggiamento positivo è essere in grado di allontanarsi da idee rigorose iniziali e adattare e improvvisare quando accadono cose inaspettate.
Can you talk about you and how did you start with photography?
I discovered photography at 18 when I was studying communication and media, with a vague idea to do journalism. I studied its technique and its history before really ‘doing’ photography. At that time I was also very interested in films, video editing and photoshop. I think my work has always been related to fiction and stories in some way. Quickly I started to stage situations in front of the lens, and to use storytelling strategies to create a narrative. Also I experimented a lot with the materiality of analog photography in the darkroom.
How “Home-Play” is born ?
I initiated this project during the first lockdown of March 2020. I was confined in Brussels in Belgium where I live and work. Home-Play consists of images I took in my living place, a shared house in the north district of the city, where I live with other roommates. I started to make still-lifes with random objects, to stage strange situations. The only constant is that I could not go outside of my place to make images. It is not an easy exercise to stay creative and productive when you are locked up at home. In a way this is the whole challenge of this project. I see this project as a pretext to reinvent my daily routine, to play with my environment and to recreate it. I refer to Marcel Proust who said:
The real voyage of discovery does not consist in seeking new landscapes, but in having new eyes.
I like this quote very much because it refers to the gaze, which is primordial in photography. In a way this gaze matters more than the subject of the image. The challenge of this project is not really about creating an imaginary world in which we can escape. Rather it proposes a way to stay creative as a photographer in a limited space you are used to living in and to seeing every day. In a way, Home-Play proposes to reinvent everything endlessly in order to find the exotic in the everyday.
Which are your inspirations?
As everybody I am inspired by things I have seen already, like in other pictures, movies, artworks, etc. In this series Home-Play I refer to many photographers and artists I know. I take their pictures as a base to make something new and more personal. I am thinking about the interventions of duo Nico Krebs & Taiyo Onorato. I was fascinated by their book The Great Unreal. Also the work of Thomas Albdorf on still-lifes inspired me a lot. As long as there is an intervention in the image, a transformation of reality which creates fiction and poetry it inspires me. It can be made with very simple ways sometimes.
How did you find your stories? What is the first thing that you make before start a project?
Usually stories come to me without a real search. This project Home-Play is not directly a story, in the way that I didn’t search for this before making the images. But I think a narrative can definitely be revealed by the viewer, I just didn’t write it down before the project. I also deeply believe in the serendipity of things and I try not to have too high expectations. Even if sometimes things don’t turn out the way you want, new things happen and make you reconsider your project into a new direction. The good attitude is to be able to stray away from strict original ideas and to adapt and improvise when unexpected things happen.
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